Il Funerale della Ninfea – Silvia Leoni
Category: band emergenti | Leave a Comment
Etichetta: Sub Terra Label, Radio Riserva Italiana
Prodotto da: La Guerra delle Formiche
Perchè mai la musica al femminile dovrebbe solo basarsi sulle qualità canore della front-woman? Io mi libererei volentieri di questi luoghi comuni, che puzzano di sciovinismo celato dai soliti clap clap clap recitati. Qui non siamo dinnanzi ad una madame Carlà con il pallino della chitarra acustica! Silvia Leoni combatte l’emancipazione come l’avrei combattuta io se fossi nato donna, ah!
Lasciamo quindi le cazzate da Favoloso Mondo di Amelie a chi ha occhi solo per sognare; spremiamo le meningi e apriamo i timpani: in questo disco c’è fin troppa sensibilità e verità che in qualsiasi altro manifesto o icona al femminile.
L’onirismo di rugiada de Il Funerale della Ninfea è quanto di più delicato ed incisivo possa esisitere. L’universo di questa eroina femminile è reale, livido e vissuto, ma senza la retorica rosa o i sentimentalismi da kleenex perennemente umido. Tra le note della chitarra acustica si possono toccare con mano la forza e la decisione di una ragazza che ha una mente libera da pre-concetti e da limitazioni. A coadiuvare ed inspessire il sound ci pensa La Guerra delle Formiche (alias Carlo Sanetti) e Morning Opera (Marco Puci) capaci di colorare le emozioni slacciate della dimensione acustica, creando diversi livelli sonori sfumati verso la voce della cantante, con un quell’ accento pulito e quasi innocente.
La Redenzione è unaa polaroid sanguinante dei sentimenti e di ciò che si perde ad ogni fermata: «Amami, sono fragile … Amami come ti viene». Un brano sensibile ed impavido allo stesso tempo, dipinto in maniera calda e senza indecisioni nevrotiche. Costante nel suo crescendo, il disco mantiene le promesse di un pop elegante, adagiato su un prato dalle maniere folk, a rimirare un cielo dalle sonorità mediterranee.
Brava tanto in madrelingua che nelle effusioni francofone di L’Amour Fou, nel quale traspare un intimismo veniale e sofisticato, quasi naif ma senza trasbordare nella presunzione.
Mary Says ribolle di un pop-rock maculato e felino, brivido per l’epidermide: è la riprova della versatilità ritmica di tutta la banda. Gli archi di Coquelicot (Eleonora Stassi) partoriscono la base di Penombra, una perdita degli scudi emotivi, nuda e bella nella sua essenza lunatica divorata da un rock ruvido; come tenere un cuore in mano senza doverlo strappare nel petto: lasciate pure che riposi nella sua urna emotiva!
In questo momento viene interpretata come una novella Carmen Consoli, ma è solo la precoce impressione che presto levita via, confezionando una recitazione personale in un brano, che in realtà, non è che una poesia sulla contemporaneità.
Un lavoro davvero fresco, ben congeniato, che cela nel suo interno quella nostalgia verso la parte più buona della vita: l’infanzia e l’innocenza. Arrangiamenti strutturati e limati verso una perfezione che non stona con la proverbiale spontaneità dei brani, sempre intimi e forti che fanno di Silvia Leoni un eccellente songwriters. E’ così che dovrebbere essere un disco!!!
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recensito da Poisonheart
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