domenica 14 novembre 2010

Schiavi della nostra libertà

Sono andato troppo in là per non pensare che la corruzione delle capacità affettive degli uomini contemporanei sia ad uno stadio irrimediabile. Nell'antico e soffocante mondo contadino esisteva una legge morale che, per quanto possiamo trovare oggi opprimente, svolgeva una funzione protettiva e creatrice fondamentale. Tale legge è andata completamente perduta e annientata: in nome della libertà e dell'affermazione individuale, sono ritenute accetabili se non lecite e giustificabili azioni che un tempo avrebbero suscitato orrore per prima cosa in chi le aveva compiute. L'umanità 2.0 instaura reti gigantesche di relazioni i cui nodi sono sostanzialmente effimeri ed intercambiabili e al centro c'è l'individuo, solo. Nelle profondità di questo oceano in movimento, i cui scenari cambiano con una rapidità vertiginosa, mai conosciuta prima d'ora, si consumano veri e propri omicidi psichici. I giovani occidentali si stuprano a vicenda, non da meno fisicamente e letteralmente, e lo fanno consenzientemente, spesso con il sorriso. La fame di networking è schizofrenica ricerca di relazioni da consumare fintanto che lo scenario esterno non vada a mutare, cosa che accade in tempi rapidissimi in un contesto globale che richiede estrema flessibilità affinché il flusso di "merci" (intendendo con questa parole non solo cose, ma anche informazioni e persone) accresca in efficenza (velocità e quantità). Questo è semplicemente parte fondamentale del rito ortodosso della "religione" del nostro tempo. Tale schizofrenia relazionale senza possibilità di sazietà ha talmente intaccato in profondità le coscienze delle ultime generazioni che nessuno di noi ne è immune, nemmeno le menti migliori. Quando tutto questo si traduce in intimi desideri, pulsioni e lacerazioni interiori che cambiano i sentimenti alla stessa velocità degli scenari, generando sovente mostri, si può dire che il processo è giunto ad un punto di non ritorno. L'antica legge morale è stata spazzata via nel giro di pochi decenni e, se inizialmente la libertà è stata vissuta con legittima gioia ed euforia, perché ci si era liberati di catene e fardelli troppo soffocanti, oggi non possiamo fare a meno di essere schiavi della nostra libertà, forse più schiavi di quanto non lo fossero i nostri antichi antenati. Frustrazione ed amarezza sono i due termini chiave per descrivere cosa alberga veramente sui fondali di questo oceano. E' solo l'inizio del declino definitivo della nostra civiltà. In un ciclo millenario, in un volo di prospettiva così azzardatamente ampio, si potrebbe vedere questa come la naturale evoluzione di quel processo iniziato in tempi remotissimi con l'affermazione delle culture indoeuropee - dominate da un principio maschile e guerresco - sulle culture matriarcali, guidate da un principio femminile e creatore. Qualsiasi cosa di quel "matriarcato" possa essere sopravvissuto nel corso dei millenni, oggi è del tutto incomprensibile e perduto. Le intelligenze più lucide pare che non riescano a far altro che abbandonarsi alla rassegnazione, alla negatività e al nichilismo. Per gli altri, non resta che vivere la liquidità moderna con l'illusione che la velocità e l'irrequietezza siano la felicità. Per chi difende quel principio positivo, creatore e femminile, la consapevolezza di essere un dinosauro e la volontà di estinguersi perlomeno irraggiando speranza e quel tanto di luminosità e positività che riesce a far splendere dalle proprie ossa fossili.

1 commento:

Mauro ha detto...

Se questa straziante e insensata arena della competizione che è la società in cui viviamo è davvero la trasfigurazione più attitente dell'innata, "naturale" competitività che domina l'interazione sessuale (e dunque ogni altro genere di interazione "sovrastrutturale" tra le monadi), bè, allora c'è da chiedersi se non si debba, sistematicamente, rifiutare qualsiasi attività istintiva non culturalmente mediata (o "mediabile"), ivi compresa la procreazione.

Si arriva al paradosso che l'atto d'amore massimo nei confronti dell'umanità, la vera filantropia, sia l'auspicare una rapido termine dell'esperienza umana stessa, dal momento che il rinnovamento della vita altro non è che una condanna alla sofferenza.

La schizofrenia affettiva, che può esser facilmente messa in relazione con la bulimia consumistica, come se fosse unicamente una diretta conseguenza di quest'ultima, è invece bologicamente determinata.

Il processo evolutivo seleziona accuratamente, inequivocabilmente e spietatamente i geni più adatti a replicarsi.
Ciò si traduce nella necessità NON CULTURALMENTE MEDIATA di competere sul piano sessuale.

Fintantochè l'essere umano esisterà nella forma in cui lo conosciamo, atroci sofferenze saranno riservate ad alcuni dei rappresentanti della specie; in società capitalistiche principalmente a coloro che siano, al contempo, poveri e repellenti, oppure poveri e stupidi, oppure poveri e aridi, oppure poveri e deboli, oppure poveri e vecchi.

In altre forme organizzative, in cui la ricchezza non rappresenti un parametro volto ad aumentare la probabilità di propagare i propri geni (mi si perdoni l'orrenda allitterazione), la solitudine di repellenti, stupidi, aridi, deboli e vecchi sarebbe assoluta, non esistendo variabili evolutive artificiose cui far ricorso.
Se si rifiuta di ammettere che l'essere umano per come lo conosciamo è, in generale, condannato a condurre una vita di merda, è innegabile concordare sul fatto che, in qualsiasi contesto sociale, la felicità non possa essere garantita a tutti.

Perchè insistere con un'odiosa ostentazione dell'egoismo cui siamo condannati?