Il Funerale della Ninfea (2010 – Sub Terra)
Posted on mer 12 ott, 2011 in Recensioni | 0 comments
Silvia Leoni ha un problema e questa recensione di sicuro non riuscirà a risolvere ciò che la musicista chiede in modo implicito, senza chiedere, quasi inconsciamente. Il problema di Silvia sta nella scelta di cantare le sue composizioni in tre lingue diverse e, accidenti, in tutti e tre i casi è dannatamente convincente. Ovviamente la difficoltà, per chi ascolta e recensisce, sta nel capire quale vicolo consigliarle di imboccare per valorizzare al meglio musica e parole senza permetterle di imbattersi in un strada senza uscita o poco proficua.
Il suo ep, Il Funerale della Ninfea composto da sei tracce, si schiude proprio con uno dei due brani non cantati in italiano, in questo primo pezzo si confronta con l’idioma francese; “L’Amor Fou” è, per contrasto con tutti quegli album che collocano in apertura i brani più convincenti, poco malleabile scarno e in pieno stile chanson française: Un accento di violino lascia il posto alla nuda voce di Silvia che si lascia accompagnare per mano dalla chitarra in un canto che ne esalta le doti vocali mentre di contro il brano risulta, ascoltando più volte l’ep, quello meno scevro negli arrangiamenti quasi a voler presentare la musicista con pochi orpelli e zero distrazioni per chi ascolta. L’altro brano, cantato in inglese, è “Mary Says” e anche quì, come nella canzone precedente, Silvia disegna una morbida e intensa ballata affiancata da un arrangiamento spoglio ma meno ostico, con gli archi incastrati negli altri strumenti che si aggiungono in modo armonioso man mano che la silhouette della canzone prende forma.
I brani in italiano risultano sicuramente più efficaci e ricchi di particolari, sia per la comprensibilità immediata dei testi che per gli affascinanti arrangiamenti curati dalla stessa Silvia insieme a Carlo Sanetti (La guerra delle formiche) Marco Puci (Morning Opera) ed Eleonora Stassi (Coquelicot) i quali danno vita ad un suono organico ed emozionante, composto da vissuti musicali differenti accomunati dallo stesso desiderio di dare ascolto alle immagini interiori di Silvia. I quattro musicisti raccolgono frammenti rubini della metà femminile degli Scisma e con una lima in madreperla smussano le sporgenze i cui detriti si impastano con la sensibilità musicale del primo Paolo Benvegnù (“La Redenzione”, “In questo momento”), oppure partono placidi e sinuosi per poi sprigionare spore marlenekuntziane, molto più interessanti di alcune delle lunghissime session improvvisate da Godano e soci, che donano un’aura acida e velenosa a “La Penombra”. Il mini disco si chiude con la strumentale “Coda” che non aggiunge nulla che non sia già stato detto in modo efficace dai brani precedenti se non per il fatto che Silvia riposa l’ugola per meno di un minuto.
Silvia Leoni e il suo ensemble sono un respiro leggero che si posa sulla pelle calda provocando piccoli brividi di piacere. Il percorso più semplice (?) da percorrere sarebbe sicuramente quello di continuare a cantare in madre lingua anche perchè proprio in quegli episodi la struttura musicale diventa più densamente ricca di particolari.
Spero anche che la giovane musicista venga notata da “quelli che nella musica contano” perchè lasciarsi sfuggire un gioiellino del genere sarebbe da incoscienti.
(Antonio Capone)
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Posted on mer 12 ott, 2011 in Recensioni | 0 comments
Silvia Leoni ha un problema e questa recensione di sicuro non riuscirà a risolvere ciò che la musicista chiede in modo implicito, senza chiedere, quasi inconsciamente. Il problema di Silvia sta nella scelta di cantare le sue composizioni in tre lingue diverse e, accidenti, in tutti e tre i casi è dannatamente convincente. Ovviamente la difficoltà, per chi ascolta e recensisce, sta nel capire quale vicolo consigliarle di imboccare per valorizzare al meglio musica e parole senza permetterle di imbattersi in un strada senza uscita o poco proficua.
Il suo ep, Il Funerale della Ninfea composto da sei tracce, si schiude proprio con uno dei due brani non cantati in italiano, in questo primo pezzo si confronta con l’idioma francese; “L’Amor Fou” è, per contrasto con tutti quegli album che collocano in apertura i brani più convincenti, poco malleabile scarno e in pieno stile chanson française: Un accento di violino lascia il posto alla nuda voce di Silvia che si lascia accompagnare per mano dalla chitarra in un canto che ne esalta le doti vocali mentre di contro il brano risulta, ascoltando più volte l’ep, quello meno scevro negli arrangiamenti quasi a voler presentare la musicista con pochi orpelli e zero distrazioni per chi ascolta. L’altro brano, cantato in inglese, è “Mary Says” e anche quì, come nella canzone precedente, Silvia disegna una morbida e intensa ballata affiancata da un arrangiamento spoglio ma meno ostico, con gli archi incastrati negli altri strumenti che si aggiungono in modo armonioso man mano che la silhouette della canzone prende forma.
I brani in italiano risultano sicuramente più efficaci e ricchi di particolari, sia per la comprensibilità immediata dei testi che per gli affascinanti arrangiamenti curati dalla stessa Silvia insieme a Carlo Sanetti (La guerra delle formiche) Marco Puci (Morning Opera) ed Eleonora Stassi (Coquelicot) i quali danno vita ad un suono organico ed emozionante, composto da vissuti musicali differenti accomunati dallo stesso desiderio di dare ascolto alle immagini interiori di Silvia. I quattro musicisti raccolgono frammenti rubini della metà femminile degli Scisma e con una lima in madreperla smussano le sporgenze i cui detriti si impastano con la sensibilità musicale del primo Paolo Benvegnù (“La Redenzione”, “In questo momento”), oppure partono placidi e sinuosi per poi sprigionare spore marlenekuntziane, molto più interessanti di alcune delle lunghissime session improvvisate da Godano e soci, che donano un’aura acida e velenosa a “La Penombra”. Il mini disco si chiude con la strumentale “Coda” che non aggiunge nulla che non sia già stato detto in modo efficace dai brani precedenti se non per il fatto che Silvia riposa l’ugola per meno di un minuto.
Silvia Leoni e il suo ensemble sono un respiro leggero che si posa sulla pelle calda provocando piccoli brividi di piacere. Il percorso più semplice (?) da percorrere sarebbe sicuramente quello di continuare a cantare in madre lingua anche perchè proprio in quegli episodi la struttura musicale diventa più densamente ricca di particolari.
Spero anche che la giovane musicista venga notata da “quelli che nella musica contano” perchè lasciarsi sfuggire un gioiellino del genere sarebbe da incoscienti.
(Antonio Capone)
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