domenica 28 maggio 2006

Sarà la Sera

Inverno che
limpido vivi
stringi se puoi
ancora più noi
tintinna in luce
gemma del ghiaccio
amica sarà
l'oscurità

Dimentica che
caldo è il respiro
la quiete nera
al cuore tu spera
chiuditi inverno
sarà la sera
terso sussurra
stelle alla terra

Stretti affondiamo
in alto più in là
stretti effondiamo
serenità

Roma, Gennaio 2006. La sera prelude alla notte. Dominano i toni del cobalto che degrada sempre più profondamente in nero. L'immagine è quella delle notti d'inverno più fredde e limpide, quelle in cui il cielo si manifesta nitido come osservato attraverso un cristallo purissimo. E' un'immagine che è possibile osservare solo dove non ci sono luci artificiali, specialmente dove non vi è alcuna presenza umana nei paraggi. E' una notte delle campagne di Tuscia, non c'è luna, solo la nettezza straniante dei fuochi delle stelle. E' qualcosa in bilico tra il sublime ed il terrore, una vastità che avvolge e disintegra ogni individualità nella quiete più profonda dello spazio infinito. Quando si ama, si può attraversare un momento in cui questo scenario è introiettato e vissuto. L'identificazione con la natura è totale.
Da due si diventa Uno. L'inverno è quello dell'anima. Ci si congela nella fissità del ghiaccio. Si diviene una gemma limpida avvolta nell'oscurità ed allo stesso tempo si comincia a brillare, prima vacillanti poi sempre più stabili , come il primo astro della sera. Si è immobili, eppure unici e luminosi. Questa notte dell'anima è allora nemica o amica? Forse un po di entrambe le cose, e ciò si riassume in questo: la quiete e la serenità della disintegrazione dell'Io nell'immensità di questo notturno (un "sussurro" di stelle alla Terra addormentata), un inabissamento verso l'Alto. Due individualità fuse in Uno ed annullate in altezze celesti ed universali. Una sorta di Nirvana? Non saprei. Una volta per tutte, sublime e terribile.

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