venerdì 24 febbraio 2012

L'università nella dark age tecnocratica

L'università (e il mondo accademico in generale) mi appare sempre più come una compagine in assoluta decadenza. Qualsiasi fine formativo e scientifico l'università abbia potuto avere in passato sembra essere stato completamente tradito. Probabilmente le accademie non sono mai state luoghi liberi, né tanto meno oasi scevre da ottusità e stupide lotte di potere e gerarchia, ma io per ora preferisco riferirmi soltanto a quelle attuali. Il potere dominante, l'Impero dei nostri tempi, non si cura della cultura, se non come ornamento ed orpello superficiale, e per questo è riuscito ormai ad asservire e plasmare a propria somiglianza i luoghi di formazione e ricerca, o più in generale ogni istituzione deputata, che ancora poteva rappresentare una sacca di resistenza spirituale all'avanzata della disumanizzante tecnocrazia economica. Tutto l'apparato d'istruzione pubblica è divenuto, quasi per un amaro gioco di parole, un apparato di distruzione pubblica, soprattutto in questi ultimi anni in cui il potere anti-democratico della finanza e dei colossi capitalisti ha gettato la maschera (vedi ad esempio il colpo di stato in Grecia e quello in atto da noi). Ogni residuo propriamente umanistico è stato demolito o riformato secondo i valori spietati del consumismo e della produttività aziendale, creando così una situazione ancora peggiore dei tempi in cui Pasolini proponeva provocatoriamente l'abolizione della scuola pubblica. Le scuole di oggi servono a scoraggiare le migliori e più oneste intelligenze e a formare una nuova orda di piccoli mostri, pronto ricambio per questa classe dirigente criminale. Ovvio come la forbice sempre più ampia tra chi potrà permettersi studi in scuole private e chi sarà lasciato in balìa del disastro pubblico sia funzionale a questo scopo. In ogni caso, il sistema di valori trasmesso da questo tipo d'istruzione (umanistica o scientifica non fa molta differenza) è da rifiutare in blocco, in quanto preparatorio all'inserimento nel sistema di schiavitù contemporaneo che si chiama mercato del lavoro, nel ruolo di sfruttatori (sempre di meno) o sfruttati (sempre di più). Se non ci si può opporre fisicamente, è un dovere morale impiegare ogni propria risorsa intellettuale per dissociarsi da questo ingranaggio sempre più mostruoso e mercificante e trovare a dimora perlomeno una piega angusta nel Disegno, in cui insinuarsi e resistere vicini alla condizione dei borderline, ma abbastanza lontani per restare inseriti e poter in qualche modo condurre un'azione, seppur infinitesimale. Roma, Tor Vergata, oggi: mi aggiro per i corridoi e vedo lo sfacelo in atto, vedo pochi professori in gamba barcamenarsi per tenere vivi barlumi di umanità ed umanesimo, vedo la corruzione dilagante dietro le facce insuperbite dalle troppe nozioni e il Golem burocratico-spersonalizzato cresciuto a dismisura, che come un tritacarne sanguinario ha fatto a pezzi ogni contenuto spirituale con l'idiota (o malignamente studiata?) pretesa di quantizzarlo e misurarlo in blocchi, come un trancio di carne da vendere al mercato. Qualsiasi cosa sia stata l'università, è morta. Insomma, se già trovo inutile e dannosa l'imposizione didattica ex cathedra, perché inibisce ogni spirito di ricerca autentico, che è gioco e curiosità, con una gerarchizzazione utile solo a consolidare un sistema di dominio e potere, questa università è stata riformata con un'articolazione così meccanica da renderla ancora più infruttuosa e nociva. Occorre resistere e lottare per avere il tempo, quel tempo (mai meccanico, mai quantizzabile) necessario per sviluppare in libertà il proprio spirito di essere umano. Gli uomini contemporanei non sanno d'essere schiavi, non sanno di pagare un tributo di schiavitù al mercato del lavoro e al mito della crescita economica. I simpatici uomini che sono al potere, quei pochi che hanno le mani sulle manopole della finanza e del commercio mondiali, vogliono portare l'umanità in una sorta di medioevo iper-tecnologico, in cui il controllo totale è ottenuto mediante la creazione dell'illusione nei popoli di essere sostanzialmente liberi in paesi democratici, mentre tutto questo è una menzogna. È questa una classe parassitaria che vuole controllare le risorse dell'intero pianeta, abitato da un'umanità di vassalli che si credono liberi e vivono nel falso mito del progresso. Quale progresso ci porta la grande tecnologia e l'estrema facilità di comunicazione e trasporto, quando non possiamo disporre liberamente del nostro tempo e del nostro spirito, e tanto meno della possibilità di vivere rapporti umani di cooperazione e sostegno reciproco? Quale progresso, nel momento in cui ci viene tolta persino la possibilità di immaginare uno stile di vita in armonia con l'ecosistema che ci sostiene? L'uomo è un animale esattamente come gli altri, ma l'illimitata fiducia in quello strumento (arbitrario) che si chiama ragione l'ha portato ad allontanarsi dalla natura e a chiudere il proprio mondo in gabbie soffocanti. Pochi che si sentono nobiltà giustificano la propria appartenenza all'aristocrazia mediante i valori del carrierismo e della competizione, con cui intrappolano chi dal basso cerca di raggiungerli, senza speranze, se non quelle date dalla propria disumanizzazione e dalla distruzione totale di tutto ciò che li circonda. Tornando ad uno degli ultimi anelli della catena, me e l'università, non farò mai carriera, né tanto meno voglio restare ancora a lungo qui. Ciò che di più autentico abbiamo, insieme alla meraviglia che ci porta fin da bambini a conoscere e sperimentare il mondo, creando così vera Cultura, è nato libero e non conosce gerarchie o idioti sistemi di potere. È per questo che non può avere dimora qui, in questi tempi.

1 commento:

Prisma ha detto...

Mi trovi completamente d'accordo.